Avvocati Torino – Stalking sul posto di lavoro
Avvocati Torino – Deridere e screditare un collega di lavoro può essere stalking
Avvocati Torino – Una recente sentenza precisa quali comportamenti nei confronti di un collega di lavoro possono integrare il reato di atti persecutori.
Sono quelli “volti a ridicolizzare, ad infastidire, a prospettare l’immagine in un momento di difficoltà e d’imbarazzo, a suscitare sentimenti di vergogna e ad esporlo alla derisione collettiva nell’ambito della comunità dei soggetti frequentatori il luogo di lavoro”.
I giudici hanno escluso che queste condotte possano essere ritenute scherzi occasionali. Queste erano infatti ripetute ed oggettivamente in grado di compromettere il benessere psicologico e la serenità di chi le subisce.
L’art. 612 bis c.p. punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni il delitto di «Atti persecutori», comunemente detto stalking.
Il delitto richiede, innanzitutto, la presenza di condotte reiterate o ripetute.
In questo caso l’imputato era stato condannato per aver tenuto quotidianamente una serie di comportamenti costituiti dalle frequenti “prese in giro” della vittima.
Ad esempio, frequenti spruzzi con acqua gelida durante la doccia, accensione dell’impianto di riscaldamento in estate a bordo dei mezzi della ditta, l’irrisione alle sue lamentele e le ricerche disperate della sua bicicletta inspiegabilmente sparita quando egli avrebbe dovuto servirsene per recarsi ad una visita medica.
Era poi emerso che la persona offesa era un soggetto non più giovane, portatore di invalidità civile per il 50%, affetto dagli esiti di un ictus, da importanti patologie, quali diabete, ipertensione, vertigini e da disturbi della memoria e dell’attenzione.
A causa del forte disagio patito sul luogo di lavoro a causa delle angherie di cui era vittima, la persona offesa aveva dovuto ricorrere alle cure dei sanitari, aveva sviluppato un grave stato ansioso, a causa del quale si era dovuto assentare dall’attività, motivo poi del suo licenziamento con grave pregiudizio patito per l’impossibilità di maturare l’anzianità pensionistica.
La Cassazione ha quindi confermato la sentenza di condanna, ritenendo i comportamenti sopra descritti veri e propri atti persecutori.
Cassazione penale, sezione I, sentenza 2 maggio 2018, n. 18717
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